Sono 200 milioni le donne che, in tutto il mondo, vengono marchiate dal sangue della mutilazione genitale. Una stima prevede che, prima del 2030, 68 milioni di bambine passeranno dall’infanzia all’età adulta attraverso la lama di un coltello affilato. Si tratta di una tradizione molto più antica dell’Islam o del Cristianesimo, sopravvissuta a così tante ere da sembrare impossibile da sradicare. Ancora oggi, viene eseguita in 30 paesi del mondo, 27 dei quali si trovano in Africa.
Secondo il Parlamento europeo, le donne vittime di questa pratica – nonostante in UE sia illegale – sono circa 600mila e 18mila sono a rischio in 13 paesi europei. Nelle comunità in cui essa è radicata, non si parla di mutilazione, ma di circoncisione: una parola che indica semplicemente la rimozione dello strato di pelle attorno alla clitoride o al pene. Forse questo corrisponde a realtà nel caso degli uomini, ma per le donne la verità è molto diversa.
Il giorno della mia circoncisione è ben impresso nella mia memoria, chiaro come se fosse successo ieri. […] Il cielo era azzurro e terso, con solo qualche sottile nuvola bianca. Anche se può sembrare che stia allestendo la scena di un idilliaco ricordo d’infanzia, in realtà è esattamente l’opposto.
Le mutilazioni genitali femminili – dette anche MGF – si suddividono in quattro tipi. Le MGF di Tipo IV racchiudono tutte le pratiche di ordine non medico, come punture e piercing, e sono le meno invasive. Con il Tipo I, invece, le cose si fanno più dolorose: in un processo chiamato clitoridectomia, la clitoride esterna viene rimossa parzialmente o interamente. Una donna senza clitoride non può godere durante i rapporti sessuali, le sue pulsioni sono state asportate da una lama tagliente. Di conseguenza, sarà una femmina addomesticata, docile, obbediente all’uomo a cui è stata data in sposa. Quel piccolo punto nevralgico e demoniaco che l’avrebbe sicuramente portata all’infedeltà – si sa, le donne sono volubili – per fortuna è stato eradicato ed esorcizzato, non getterà più disonore e vergogna sui giusti padri di famiglia.
Se un’altra ragazza ti insultava chiamandoti kintirleey, “quella con la clitoride”, la portavi immediatamente in un angolo e le mostravi le parti intime, in difesa della tua purezza […] Nessuna voleva essere accusata di possedere una clitoride.
In tutte le altre forme di mutilazione, la clitoride verrà sempre rimossa. A questo, però, si affiancheranno pratiche via via più invasive. Nella MGF di Tipo II, detta escissione, a essere rimosse sono anche le piccole e/o grandi labbra. Una delle ragioni di questa tradizione è che i genitali femminili vengono considerati disgustosi, perturbanti, e le donne sentono l’obbligo di annullarli. La vulva diventa una sola superficie liscia, ordinata, diversa dalle altre solo a causa di due insignificanti fori. Alle bambine viene insegnato che finalmente saranno pulite, adulte, e non dovranno più provare vergogna per ciò che hanno tra le gambe. Sì, la mutilazione – nonostante il dolore e il sangue – viene accolta con gioia dalle ragazzine, è una festa che si aspetta con timore, ma anche forte emozione. Niente più disgusto, finalmente l’onta di avere una clitoride o delle labbra oscene e disordinate verrà cancellata.
[…] attendevamo con ansia quel rito di passaggio; il momento in cui saremmo entrate tra le fila delle “ragazze pulite”. La credenza che le ragazze non circoncise fossero sporche e indegne di rispetto permeava ogni aspetto della cultura somala. Si iniziava con le madri, che umiliavano pubblicamente le bimbe piccole per aver accidentalmente mostrato le parti intime non circoncise, e si continuava poi con il lodare apertamente le giovani donne per il loro essere circoncise, sottomesse e obbedienti.
Infine, la MGF più drastica di tutte, quella di Tipo III. Viene chiamata infibulazione o circoncisione faraonica, parole che evocano mummificazioni, aghi e suture. È il tipo di mutilazione più diffusa in Somalia, che ne detiene il record mondiale. In questa operazione cruenta, la clitoride e le labbra interne vengono rimosse, mentre le labbra esterne vengono riposizionate e ricucite tra loro, lasciando solo un foro minuscolo per lasciar passare urina e sangue mestruale. L’operazione si effettua con vetri, coltelli, lamette, strumenti di fortuna utilizzati su gruppi di sei o sette bambine senza mai essere disinfettati. Poi, per ricucire assieme i due lembi, si utilizzano le spine dell’albero di qurah. Le spine usate vengono contate e comunicate allo sposo scelto per ogni bambina: la prima notte di nozze, potrà controllare se effettivamente i punti di sutura non sono mai stati manomessi.
Ricordavo ragazzine giocare in cortile vantarsi dicendo cose come: “Il mio buco è così piccolo che non ci passerebbe uno stecchino!”.
Non sempre si arriva al giorno del matrimonio. Le ferite prendono spesso infezione e le bimbe muoiono prematuramente. Poi, se il foro lasciato è troppo stretto, anche le sopravvissute si infettano a causa dello stagnare dell’urina o del sangue mestruale. Se si riesce a restare in vita, la propria esistenza sarà costellata di ulteriori torture. Durante la prima notte di nozze, le opzioni sono due: o il pene viene utilizzato come ariete, sfondando la sutura, o le più fortunate vengono riaperte dalla lama di una levatrice. Quella che dovrebbe essere una notte dedicata al piacere diventa una lenta agonia, fuoco vivo su ferite aperte, tormento senza desiderio. Solo per l’uomo il rapporto sarà erotico, carnale e passionale, la dimensione del piacere è completamente assente per la donna. Una volta fecondata, quest’ultima non può più scappare alla maternità. Cosa significa il parto per una donna mutilata? Le suture vengono aperte ancora di più, quel che resta dei genitali maciullato, e il rischio di perdere la propria vita e il bambino è altissimo.
Come ha potuto un rituale così barbaro radicarsi a tal punto in una cultura?
È questa la pratica che ha subito Shugri Said Salh,autrice de L’ultima nomade. Nel suo racconto, un elemento si distingue più di ogni altro: la complicità femminile. Sono donne quelle che la portano in una radura brulla. Sono donne quelle che sacrificano una capra in suo onore. Sono donne quelle che immobilizzeranno lei e sua sorella, e sono donne quelle che rincorrono e agguantano le fuggitive. Sono sempre donne quelle che spalancano a forza le gambe delle bambine ed è una donna quella che passerà il coltello su ognuna di loro. Gli uomini non sono mai presenti durante le mutilazioni, sembrano inconsapevoli di ciò che stanno facendo le madri, le nonne, le sorelle di quelle bimbe. Non partecipano mai, e così diventano allo stesso tempo innocenti e mandanti. Tutto ciò che viene fatto, tutti i tipi di mutilazione, vengono eseguiti per loro.
C’è una regola tacita nelle società patriarcali: nessun uomo sposerebbe mai una donna non vergine. Ma la verginità si può mistificare, simulare, mentre con la mutilazione se ne ha completa certezza. La mutilazione è il sigillo di garanzia da apporre su una merce di scambio, che assicura all’acquirente che non sia di seconda mano. Comprereste mai un paio di mutande se sapeste che non solo sono usate e sporche, ma dureranno solo qualche anno? Ovviamente no, e quindi: la mancanza della clitoride assicura la stabilità del matrimonio, la rimozione delle labbra rende i genitali attraenti, la sutura garantisce la verginità. Più la merce è fresca, giovane e pura, più lo status sociale di chi la possiede diventa alto. Essere rispettati significa tutto nell’aspro deserto somalo: vuol dire poter forgiare alleanze con altri clan potenti e stimati, ottenere fiducia e aiuto, non essere attaccati e schiacciati. Nella nostra cultura la verginità ha rapidamente perso valore in confronto alla perfezione estetica, nuova misura della ricchezza e del potere dell’uomo che possiede l’attraente esemplare, però se la mercanzia non è troppo usata è sempre meglio.
Vedere la donna come oggetto è la radice di ogni aberrazione. È ciò che normalizza ragionamenti così deumanizzanti e pratiche crudeli. La cosa più inquietante è che le donne, pur di sopravvivere – non sposarsi nel deserto significa non avere protezione alcuna –, interiorizzano queste logiche. Le mamme sperano un futuro radioso per le loro bambine, come in tutte le culture, e quel futuro passa per la mutilazione. Molte delle guaritrici che portano avanti questa tradizione sono convinte di proteggere le generazioni successive dall’esclusione sociale, dalla povertà e dagli stupri. Questi ultimi sono presentissimi nel memoir di Shugri Said Salh, il rischio è palpabile in ogni momento. Sì, una circoncisione faraonica rende più complesso un tentativo di violenza ma, se viene portato a termine, è la fine. Il sigillo viene rotto, la merce è avariata.
Ricordo che avevo otto anni quando mi furono impartite le strategie da mettere in atto se un giovane avesse tentato di stuprarmi […] Se una ragazza veniva stuprata, la colpa ricadeva su di lei, per aver fallito nel proteggere la propria verginità.
Wixii xunba Xaawaa leh. È un vecchio proverbio somalo che significa: gli uomini danno ancora la colpa di qualsiasi cosa a Eva. Shugri Said Salh apre il capitolo dedicato alla mutilazione con questo detto perché tutto ruota attorno al concetto di colpa. Se vieni stuprata, la colpa è tua, devi imparare a difenderti. Se un matrimonio va in malora, la colpa è tua, dovevi sopportare ogni abuso. Se una delle alleanze tra clan si rompe, la colpa è tua. Se tuo marito sceglie una nuova giovane moglie, la colpa è tua – perché sei invecchiata? Per schermarsi dal giudizio, dalla colpa ancestrale di essere donna, è bene rinunciare a ogni traccia della propria femminilità. Annullarsi, fisicamente ed emotivamente.
Eppure, c’è chi lotta da quarant’anni contro la mutilazione genitale femminile. Alcune di loro l’hanno subita sulla propria pelle. Altre l’hanno addirittura inflitta, prima di rendersi conto di ciò che stavano facendo. Ognuna ha avuto la forza di ribellarsi a una tradizione così radicata da essere considerata la normalità. Molte di queste donne sono scappate dalla propria terra, altre sono ancora bloccate nei luoghi in cui sono nate. Schierarsi contro le mutilazioni genitali significa essere rinnegate dalla propria famiglia, dai propri amici, escluse dalla società. Proprio per questo, sono voci che vanno ascoltate e amplificate. Non è una battaglia impossibile, ma non avrà mai successo se lasciamo sole le donne che la portano avanti.
Al mio risveglio dall’operazione, la stanza mi sembrò affollata, come appesantita da un senso di vergogna, imbarazzo e fallimento […] Mi parve tutto freddo e invadente, ma al mio fianco c’era Selehdin, a tenermi la mano mentre uscivo dalla nebbia dell’anestesia. Man mano che guarivo, mi sentivo come se le catene, che per secoli avevano trattenuto le mie antenate, fossero state finalmente sciolte. Cominciava una nuova era, per le mie figlie e le generazioni seguenti di ragazze della mia stirpe.